p. Caroni: La solitudine dello storico del diritto

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Titel
La solitudine dello storico del diritto. Appunti sull’inerenza di una disciplina altra


Autor(en)
Caroni, Pio
Reihe
Per la storia pensiero giuridico moderno 86
Erschienen
Milano 2009: Giuffrè Edizione
Anzahl Seiten
251 p.
Preis
URL
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Antonello Mattone

L’ultimo libro, da non molto apparso in edizione italiana, di Pio Caroni ha un titolo davvero singolare, La solitudine dello storico del diritto. Appunti sull’inerenza di una disciplina altra (Giuffrè, Milano, 2009, «Per la Storia del pensiero giuridico moderno», 86): si tratta della traduzione di Die Einsamkeit des Rechtshistorikers. Notizen zu einem problematischen Lehrfach (Basel, 2005), segnalata al lettore italiano da una bella recensione di Pietro Costa apparsa in «Quaderni fiorentini», 35, 2006. Il libro è una raccolta di saggi, che rispetto all’originale viene presentato in una versione arricchita di un nuovo contributo e corredata da un’ampia introduzione di Italo Birocchi, chiave fondamentale per accedere all’opera dello studioso svizzero. Di recente è stato oggetto di un’approfondita riflessione da parte di un civilista come Francesco Macario (in «Rivista di diritto civile», 57, 2011). Dalla edizione italiana è stata anche ricavata una versione spagnola: La soledad del historiador del derecho. Apuntes sobre la conveniencia de una disciplina diferente, Madrid, universidad Carlos III, 2010.

Caroni, ticinese di Bellinzona – assai noto ai lettori di questa rivista –, allievo di Peter Liver, titolare della cattedra di Storia del diritto e di diritto privato nell’università di Berna dal 1971 al 2003, già decano e rettore di quell’ateneo, cofondatore nel 1979 della rivista «Zeitschrift für Neuere Rechtsgeschichte», è uno studioso profondo, acuto, inquieto e, per certi versi, anticonformista. Nel libro c’è la bella immagine del suo gatto americano che scruta pensieroso la catena del Giura: come il viandante preso di spalle che nel quadro di Caspar David Friedrich osserva il mare di nebbia (1817), cosí Caroni si pone dinanzi alla complessità dei problemi giuridici, interrogandosi su di essi senza offrire facili sponde o ovvie soluzioni. Il suo stile elegante, non facile, ricco di citazioni letterarie è inconfondibile sia per la chiarezza espositiva, sia per la vis polemica con cui pone in discussione logori schemi e conclamate «verità». Se si volesse cercare un archetipo al suo stile antiaccademico, caustico, talvolta insofferente verso i collaudati cliché, bisognerebbe risalire alle Considerazioni inattuali di Nietzsche, per la loro critica corrosiva e per la demistificazione dei modelli scientifici positivisti.

All’interno di una direttrice nitida e coerente, nel libro si possono distinguere alcuni temi. un primo filone di riflessione riguarda il ruolo didattico della storia del diritto nelle Facoltà di Giurisprudenza. L’atteggiamento di Caroni sembra sconfortato, tanto da fargli venire in mente il concetto di «agonia» della disciplina. L’autore si domanda se la storia del diritto debba essere insegnata soltanto in rapporto all’ambito del diritto positivo, cioè per «arricchire, abbellire, oppure completare» una realtà monopolizzata dai sistemi giuridici vigenti. È una domanda retorica, naturalmente. Egli nota tutte le contraddizioni di questo diffusissimo approccio, quali l’ignoranza della «storicità sottesa alle singole norme del diritto positivo», il volto di un diritto «granitico ed impenetrabile, non scalfito dal tempo, privo di pieghe, di rughe, di grinze», per giungere alla conclusione che c’è dunque un solo mezzo per «ristabilire la verità del diritto»: quello di «storicizzarlo».

In particolare, la storicità del diritto è destinata a naufragare sugli scogli del neopandettismo. La storiografia degli inizi del Novecento si accontentava di accertare che la tradizione romanistica avesse superato indenne i secoli e fosse ancora presente secondo modalità nuove e variabili nel diritto privato dei singoli Stati europei. Per l’Italia si può fare a questo proposito l’esempio di Biagio Brugi, convinto sostenitore del background romanistico del primo codice unitario. I neopandettisti oggi, secondo Caroni, mirano molto piú in alto. Si profila un metodo comparatistico (dove la storia resta sullo sfondo), finalizzato alle esigenze del presente, che viene assai bene definito dal titolo del saggio del 1991 di Reinhard Zimmermann, Usus Hodiernus Pandectarum. In questa prospettiva il diritto romano costituirebbe la vera unità del diritto civile europeo, anzi la matrice del diritto privato vigente della Comunità europea. Nel criticare questa discutibile operazione culturale, Caroni appunta i propri strali soprattutto sull’idea di un indefinito continuismo che, lungi dal rispecchiare la storia, appiattisce la complessità del reale ed il significato delle trasformazioni.

un’altra tematica affrontata da Caroni è l’annosa e interminabile querelle se la storia del diritto rientri a pieno titolo nell’ambito delle scienze sociali o debba, per la sua specificità, avere un «codice» disciplinare del tutto autonomo. La storiografia idealistica, da Fueter a Gentile, da Croce a Momigliano, aveva sempre auspicato la fine dell’autonomia della storia giuridica e il suo totale inserimento nella storia generale. Non negava la specificità, ma sottolineava le insufficienze di un metodo sostanzialmente autoreferenziale. Nel 1985 Paolo Grossi aveva sottolineato il paradosso che, nella propria impostazione metodologica, la nouvelle histoire francese della scuola delle Annales aveva messo a frutto tutte le scienze umane e sociali, ad eccezione proprio del diritto, che non era certo la meno importante tra esse. Se Marc Bloch nei suoi lavori sugli ordinamenti feudali e sulla comparazione europea degli istituti giuridici medievali aveva ampiamente utilizzato le categorie giuridiche, Fernand Braudel e i suoi seguaci avevano volutamente ignorato il terreno istituzionale a favore di un economicismo e di un sociologismo che finiva spesso per tradire una matrice positivistica di marca tutta francese. Il diritto ha un linguaggio proprio, una logica speciale, astratta e rigorosa, una quantità di istituti, di principi generali e particolari, di regole: finisce pertanto per respingere lo storico «puro» che non riesce a stabilire una connessione di contenuti e di metodi tra la storia giuridica e quella della società. «Spiando il vicino» è l’espressione evocata da Caroni per descrivere il disagio dello storico tout court nell’affrontare le tematiche giuridico-istituzionali considerate, secondo l’efficace espressione di Mario Sbriccoli, come una «complessità non navigabile».

Anche su questa tematica le suggestioni critiche sono forti, ma non restano fine a se stesse: di nuovo, il recupero della funzione della storia del diritto può avvenire attraverso un abito mentale che reimmetta il diritto nel circuito della storia («la storia è la vita, la struttura del diritto», p. 123), sicché la specificità di linguaggio e di categorie, propria del terreno giuridico, diventi solo un modo particolare di leggere la realtà.

Nessuna ricetta da parte di Caroni, ma una grande lezione sulle implicazioni che ha il diritto con la cultura, le istituzioni e l’economia. In questa prospettiva la storia del diritto si apre: non solo appare come strumento necessario per intendere la norma e per applicarla, ma anche per criticare il diritto esistente e per elaborare nuove norme. Per dirla con Birocchi, «la storia non è solo ricordo o memoria, bensí strumento di immaginazione e di progetto» (p. 34).

Citation:
Antonello Mattone: Compte rendu de: Pio Caroni, La solitudine dello storico del diritto. Appunti sull’inerenza di una disciplina altra, Milano, Giuffrè, 2009. Première publication dans: Archivio Storico Ticinese, Nr. 150, 2011, p. 322-323.

Redaktion
Veröffentlicht am
24.07.2012
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Die Rezension ist hervorgegangen aus der Kooperation mit infoclio.ch (Redaktionelle Betreuung: Eliane Kurmann und Philippe Rogger). http://www.infoclio.ch/
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