N. Valsangiacomo: Dietro al microfono

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Titel
Dietro al microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera (1930-1980).


Autor(en)
Valsangiacomo, Nelly
Erschienen
Bellizona 2015: Edizioni Casagrande
Anzahl Seiten
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Rezensiert für infoclio.ch und H-Soz-Kult von:
Saffia Elisa Shaukat

È stato spesso osservato dalla storiografia come nel contesto elvetico gli intellettuali abbiano avuto una scarsa influenza e un modesto riconoscimento sociale. In Svizzera l’uomo di cultura assume infatti più spesso i tratti dell’intellettuale organico, dello specialista, e questo avviene a causa delle specificità del sistema politico, della conseguente cultura del consenso e del pragmatismo tipicamente elvetici.1

Questo titolo potrebbe indurre il lettore a pensare che il volume, che organizza la storia della radio della Svizzera italiana intorno alla presenza di quegli intellettuali d’oltreconfine tra gli anni Trenta e Ottanta del secolo scorso, approfondisca proprio tale posizione storiografica.

In realtà, il rapporto con gli intellettuali italiani non è illustrato quale reazione ad una situazione di penuria di figure intellettuali elvetiche di spessore, bensì, Nelly Valsangiacomo sottolinea fin dalle prime pagine come la radio della Svizzera italiana si presenti a tutti gli effetti quale radio di frontiera grazie al federalismo e alle frontiere linguistiche della regione. Se d’un lato si tratta di una radio di servizio pubblico e di monopolio nazionale, che deve innanzitutto promuovere la conoscenza delle tre aree linguistiche elvetiche, d’altra parte, si tratta, in quanto rappresentante di una minoranza linguistica in un territorio esiguo, di difendere la propria cultura italiana attingendo alla cultura d’oltrefrontiera, spesso in un contesto politico internazionale molto delicato. Discutendo la funzione nazionale e, soprattutto transfrontaliera, della Rsi, l’opera entra in colloquio con le attuali ricerche sulla frontiera e sul concetto di italianità della regione.2

In realtà, il rapporto con gli intellettuali italiani non è illustrato quale reazione ad una situazione di penuria di figure intellettuali elvetiche di spessore, bensì, Nelly Valsangiacomo sottolinea fin dalle prime pagine come la radio della Svizzera italiana si presenti a tutti gli effetti quale radio di frontiera grazie al federalismo e alle frontiere linguistiche della regione. Se d’un lato si tratta di una radio di servizio pubblico e di monopolio nazionale, che deve innanzitutto promuovere la conoscenza delle tre aree linguistiche elvetiche, d’altra parte, si tratta, in quanto rappresentante di una minoranza linguistica in un territorio esiguo, di difendere la propria cultura italiana attingendo alla cultura d’oltrefrontiera, spesso in un contesto politico internazionale molto delicato. Discutendo la funzione nazionale e, soprattutto transfrontaliera, della Rsi, l’opera entra in colloquio con le attuali ricerche sulla frontiera e sul concetto di italianità della regione.

In questa ricerca l’autrice ha sviluppato la sua riflessione attraverso più assi trasversali quali il delicato rapporto tra cultura e politica, dalla scala regionale ticinese a quella internazionale, l’evoluzione del ruolo e delle pratiche di intellettuale e in un contesto sociale e culturale sempre più di massa, la trasformazione progressiva della radio, dei suoi programmi, della sua oralità, in un contesto di sviluppo e progressiva fortuna dei media audiovisivi. Tale opera si iscrive nella storiografia della radio elvetica già segnato dalle opere curate da Mäusli, Steigmeier e Vallotton.3

Se osserviamo il lavoro più da vicino, esso si presenta in tre parti che si organizzano in ordine cronologico a partire dagli anni Trenta del Novecento fino agli inizi degli anni Ottanta. La riflessione prende avvio dalla delicata posizione della Radio della Svizzera italiana, conosciuta in quegli anni come Radio Monte Ceneri, nella gestione dell’equilibrio tra la cultura italiana, definita anche dall’autrice « madre culturale » della regione, e una politica italiana fascista. La radio di frontiera si avvale di intellettuali italiani per interventi puntuali: pensiamo ad esempio a Benedetto Croce, il cui intervento del 1936 viene presentato dall’autrice come un momento simbolico, importante per la costruzione della memoria antifascista della Rsi, o alla collaborazione di Delio Tessa che si occupa della programmazione radiofonica. Questo esempio permette di evidenziare una partecipazione anche continua e diversificata dell’intellettuale italiano all’interno dell’istituzione culturale.

Nel contesto politico degli anni Trenta, la Rsi sceglie di distinguere politica e cultura al fine di evitare che i cittadini elvetici di lingua italiana rivolgano la propria attenzione alla radio d’oltre frontiera fascista per poter usufruire di programmi culturali. Malgrado il controllo da parte delle autorità fasciste, che disturbavano regolarmente l’ascolto, e le norme sempre più severe che regolavano l’invito di intellettuali italiani presso la radio elvetica, la Rsi continua a collaborare, anche se in misura minore, con intellettuali italiani fino al tracollo del 1943.

Nel periodo del conflitto mondiale, in un contesto di « guerra delle onde », la concessione Ssr viene sospesa e la radio viene controllata direttamente dal governo federale, e, anche se per un breve periodo, dalle autorità militari. Vettore privilegiato della Difesa spirituale 4, la radio deve innanzitutto «tutelare la neutralità svizzera» ed evitare di affrontare in modo diretto questioni politiche se non nel quadro dei notiziari e di alcuni precisi programmi di guerra destinati ai soldati. Questo portò comunque la Rsi ad interrogarsi vivacemente su come questa neutralità dovesse essere interpretata, scegliendo poi un approccio di neutralità attiva.5

A causa dunque della potenzialità della radio di travalicare le frontiere, la Rsi deve rinunciare a far partecipare i rifugiati alle sue trasmissioni e si trova a difendere l’italianità tenendo tuttavia in considerazione le esigenze delle diplomazie, l’imperativo della neutralità e della difesa spirituale.

Nella seconda parte del libro, si sviluppa il discorso intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, periodo di grande effervescenza radiofonica, durante il quale la radio diventa più moderna e segue la strada della radiofonia di servizio pubblico europeo. In questo periodo di prosperità economica della Confederazione, la radio si diffonde in tutti gli strati sociali e nel 1950 supera il milione di abbonati. Questo porta a un ascolto più individuale e dunque ad una frammentazione dei gusti che influenza in modo notevole la programmazione attraverso la creazione di « famiglie di ascoltatori » : da qui una diversificazione del palinsesto e una conseguente ricerca di personale più qualificato.

Le aspirazioni radiofoniche della Rsi si complicano e necessitano profonde innovazioni: rimanendo radio nazionale, ma di una minoranza linguistica, essa tenta di migliorare, in un’ottica formativa, la lingua italiana degli ascoltatori e, al contempo, inizia ad interessarsi maggiormente all’attualità e all’informazione culturale offrendo programmi e documentari tenuti da specialisti. Le frontiere tra pedagogia e intrattenimento diventano nel corso degli anni Cinquanta più sfumate e si tenta di approfondire l’attualità in modo ibrido tenendo maggiormente in considerazione il gusto di un pubblico, il quale, l’autrice lo ricorda, restava tuttavia vittima di un forte pregiudizio da parte di questi neo-mediatori culturali. Sintomatiche a questo proposito le osservazioni critiche di personaggi quali Piero Bianconi o Elio Vittorini che, alla stregua delle critiche della Scuola di Francoforte, definivano la radio uno strumento « più di servitù che di libertà umana » in quanto innanzitutto subita dall’ascoltatore.

Per quel che riguarda i rapporti con la vicina penisola, all’uscita del conflitto la radio elvetica gode di un notevole prestigio, ed è ricordata quale « isola di libertà» , un mito creato soprattutto dagli italiani che vedevano in questo mezzo di comunicazione - con le parole dell’attrice Liliana Feldmann - una « radio Londra ».6

Se nell’immediato dopoguerra le iniziative in collaborazione con l’Italia sono numerose, si pensi all’istaurazione del Premio « Libera Stampa » (1947) che permetteva di rinsaldare i rapporti con l’Italia e inserire la Svizzera italiana in una rete più internazionale, in un secondo momento l’interesse italiano per la scena ticinese diminuisce grazie allo sviluppo dell’industria culturale italiana e alla conseguente concorrenza a livello dei compensi.

Tuttavia, la rete di rapporti tessuti prima e dopo il conflitto con gli intellettuali italiani resta in generale molto viva e si rivela vera e propria linfa vitale per la Rsi grazie alla piccola industria locale delle conferenze radiofoniche. L’autrice si sofferma infatti sulla partecipazione in questo periodo di numerosi intellettuali italiani, tra cui ci sono nomi importanti come Carlo Bo e Vittorio Sereni, il quale cominciò progressivamente a collaborare anche con la televisione seguendo dunque il cambiamento dell’epoca.

Il generale sviluppo dei media, con l’avvento della televisione portano a un cambiamento dei generi radiofonici : delle poco radiofoniche conferenze di studiosi specialisti, che spesso erano accompagnate prima o dopo da pubblicazioni sul giornale della radio, il Radioprogramma o su riviste locali, si passa a brani « brevi e nervosi », formativi e informativi più che pedagogici e che lasciano spazio anche al genere dell’intervista, gioco dialogico dove emerge sempre più la figura del giornalista culturale.

Ed è proprio nel contesto dell’intervista che si riflette sulla propria pratica di intellettuali in qualità di specialisti e cittadini: qual è dunque il ruolo sociale dell’uomo di lettere nel contesto dell’industria culturale? La terza parte del libro si concentra dunque sul passaggio agli anni Settanta, anni caratterizzati da grandi cambiamenti dei media audiovisivi ma anche segnati da una maggiore politicizzazione degli interventi giornalistici nel contesto degli anni di piombo che vedono l’Italia teatro di attentati e la Svizzera attraversata dall’anticomunismo. Al di là delle tensioni politiche regionali e strettamente ticinesi, l’apertura all’attualità rinnova i timori rispetto al controllo preventivo delle autorità e l’autrice rileva come il tema dell’intellettuale dei media sia discusso di nuovo con estrema vivacità. Da un lato, l’attenzione all’attualità e al pubblico, ormai diversificato, portava il giornalista a non essere semplicemente un mediatore ma un intellettuale con proprie opinioni, precise anche se discutibili, d’altra parte c’era chi ancora sosteneva una linea di trasmissioni culturali completamente indipendenti dalla politica.

I rapporti tra Italia e Svizzera, in tutto il lungo contesto di trasformazione della radio della Svizzera italiana dagli anni Trenta agli anni Settanta permettono all’autrice di riflettere infine sulle immagini dell’Italia e sulle percezioni della Svizzera veicolate dagli intellettuali italiani in Ticino. Se nel dopoguerra i paesi sono riuniti nel ricordare l’antifascismo, si tratta di una rappresentazione statica ed idealizzata, che vede con nostalgia e ammirazione la Svizzera quale oasi di stabilità e libertà di espressione: un’immagine sempre strettamente connessa all’esilio di molti italiani durante Seconda Guerra. Da qui, di riflesso, la demonizzazione del paese di origine: l’Italia è presentata come una società che non coglie l’occasione di rinnovamento data dallo sviluppo dei decenni del dopoguerra e che delude. Se gli intellettuali non perdono occasione per criticare la classe politica italiana, d’altra parte gli stessi non pongono mai in esame la questione migratoria che in quegli anni - e non solo in quelli – è vivacemente dibattuta : sono infatti gli anni di Schwarzenbach e delle iniziative anti-stranieri.7 Che cosa sappiamo però della cultura “popolare” italiana che attraversa questo media? Chi sono gli ascoltatori italiani e come reagiscono alla cultura regionale e di frontiera proposta dalla Rsi?

Le possibilità di approfondire protagonisti, gruppi sociali precisi e trasmissioni attraverso ricerche più puntuali sono infatti numerose, nuove piste sono indicate dall’autrice da un punto di vista delle pratiche culturali dei fruitori e dei protagonisti di questo particolare mezzo di comunicazione, nel contesto di un generale passaggio da una comunicazione razionale ad una piuttosto emozionale. D’altra parte, interessante si potrebbe rivelare l’analisi sul periodo successivo, periodo cosiddetto del riflusso nel privato, al fine di comprendere non solo i cambiamenti tecnologici e istituzionali dal punto di vista dei supporti e dei media, ma soprattutto i contenuti, le pratiche degli uomini di cultura, la ricezione del loro pensiero. Se i filosofi arroccati nelle proprie torri sono oggi figure ormai fuori da ogni orizzonte del possibile è da chiedersi se è ormai avvenuto, e se si con quali conseguenze, il passaggio, con le parole di Mario Andrea Rigoni, dall’intellettuale all’ “operatore culturale".8

Il valore di tale ricerca che, oltre ad essere di lungo periodo, vede la presenza di numerosi assi trasversali, si rivela nell’uso di fonti di natura molto diversa. L’autrice si avvale di materiali eterogenei ma ricchi: alle pubblicazioni in rivista o del giornale della radio si aggiungono fonti cartacee di natura più frammentaria. Tali fonti, che, proprio per la natura del supporto prediletto dalla radio, sono spesso considerate marginali dai protagonisti stessi dell’istituzione culturale in questione, dovrebbero completare le fonti sonore, delicate per la loro natura volatile e difficili da contestualizzare. Oltre all’archivio di Stato per quanto riguarda i materiali sui circoli culturali della regione, l’autrice si basa infine su archivi privati di personalità di rilievo quali Bianconi, Filippini, Candolfi e infine dell’archivio aziendale della Rsi.

Ecco dunque che osservando da vicino le fonti storiche mobilitate per tale ricerca emergono gli attori sui quali l’autrice si sofferma e le arterie dell’analisi: il rapporto tra cultura e politica si intreccia con la storia degli intellettuali e dei media in quanto istituzioni culturali all’origine di discorsi, immagini e rappresentazioni culturali. Il lavoro si iscrive in quella che ormai è definita dalla storiografia la “nouvelle histoire culturelle”. La definizione e la delimitazione di questa storia culturale è operazione difficile in quanto gli approcci sviluppati in seno alle università elvetiche sono legati spesso a temporalità e tradizioni differenti.9 Partendo dalla tradizionale dicotomia tra storia culturale delle elites e storia della cultura popolare, se la Svizzera romanda si è per esempio interessata alla storia degli intellettuali, e qui possiamo individuare la genealogia di questa ricerca, la Svizzera tedesca ha invece integrato più rapidamente gli approcci di storia sociale del culturale. Una storia sociale che d’altra parte completa presto l’analisi di strutture e processi con gli attori, presi in considerazione come reali agenti, con discorsi e rappresentazioni proprie, pronte ad essere decostruite grazie agli apporti di discipline quali l’etnologia francese e l’antropologia culturale di origine anglosassone. In tal senso la contaminazione tra storia culturale e storia sociale è oggi ormai evidente nell’interesse per le materialità, di cui i materiali radiofonici in questo caso sono un buon esempio. Il pluralismo elvetico in ambito di storia culturale, di cui questo libro è testimonianza, si rivela risultato quindi della permeabilità della storiografia svizzera alle tradizioni storiografiche europee malgrado molto ci sarebbe ancora da dire in merito alla lentezza del prendere conoscenza all’interno dello spazio elvetico delle ricerche che vengono sviluppate oltre la Sarina oppure oltre Gottardo.

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Note:
1 La questione è dibattuta per esempio nell’introduzione curata da Claude Hauser e Alain Clavien nel numero dedicato esclusivamente alla storia degli intellettuali in Svizzera Claude Hauser, Alain Clavien, « L’intellectuel suisse entre expertise et critique », in « Les intellectuels en Suisse au XXe siècle », Traverse, n. 2, 2010, pp. 13-15.
2 Frontiera e coesione : perché e come sta insieme la Svizzera, Marco Marcacci, Oscar Mazzoleni, Remigio Ratti (a cura di), Dadò, Locarno, 2016. Vivere e capire le frontiere in Svizzera : vecchi e uovi significati nel mondo globale, Oscar Mazzoleni e Remigio Ratti (a cura di), Coscienza Svizzera, Bellinzona / Dadò, Locarno, 2014.
3 Theo Mäusli, Andreas Steigmeier e François Vallotton, La radio e la televisione in Svizzera : storia della Società svizzera di radiotelevisione SSR dal 1983 al 2011, Hier + Jetzt, Baden, 2012.
4 Per Difesa spirituale si intende più precisamente quel movimento politico e culturale attivo dagli anni 1930-40, impegnato nella difesa dei valori elvetici al fine di contrastare in senso difensivo il paese dalle mire espansionistiche dei totalitarismi di quel periodo. Vedi anche M. Piattini, La Radio della Svizzera italiana al tempo della "difesa spirituale" (1937-1945), 2000.
5 « E noi dobbiamo restare muti e immobili senza lasciar trapelare il nostro pensiero ? Noi dobbiamo con la stessa impassibilità ascoltare Pio XII e il maresciallo Goering ? (…) » cit. in « Le voci », in Radioprogramma, 30.9.1939, p.1, cit. in Nelly Valsangiacomo, Dietro al microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera (1930-1980), Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2015, p. 58.
6 Ibid., p. 76.
7 Solo alcuni interventi fanno eccezione : è il caso di Delia Castelnuovo-Frigessi e di Danilo Dolci. Ibid, pp. 161-162.
8 Mario Andrea Rigoni, Variazioni sull’impossibile, Rizzoli, Milano, 1993.
9 A testimonianza di questo si veda per esempio il numero della rivista di storia elvetica Traverse pubblicato nel 2012 dedicato a tale questione « L’histoire culturelle en Suisse », Traverse, n. 1, 2012.

Zitierweise:
Saffia Elisa Shaukat: Recensione di: Nelly Valsangiacomo, Dietro al mircofono. Intellettuali italiani ala Radio swizzera (1930-1980), Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2015. Zuerst erschienen in: infoclio.ch, 15.11.2016.

Redaktion
Zuerst veröffentlicht in

infoclio.ch, 15.11.2016.

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